Conoscete Wellkome, piccolo ristorante giapponese in via Bezzecca a Milano?
Ma la vera domanda è: l’anno scorso a Expo siete riusciti a entrare nel famigerato padiglione giapponese?
Le due domande sono strettamente correlate.
Di quel che davvero contenesse il padiglione nipponico io non ho idea: pur essendo stata a Expo millemila volte (quanto mi manca, dannazione!), di fronte alle millemila ore di code sotto i millemila anticicloni africani che l’anno scorso son passati di qui ho sempre desistito. Però dentro di me chiedevo perdono agli dei giapponesi per la mia scarsissima forza di volontà (Mimi Ayuara non sarebbe stata fiera di me, no no).
Sia come sia, dietro l’estetica esterna di legno del padiglione più famoso di Expo 2015, c’erano tre ristoranti: uno carissimo, uno di cui non so nulla e Sagami, catena giapponese con oltre 170 ristoranti in tutta l’Asia, specializzato in soba.
Quest’ultimo, a un anno di distanza dall’apertura dei cancelli di Expo, si è trasferito appunto da Wellkome, prendendo possesso dei suoi spazi in qualità di temporary restaurant ospite con un menù formato da 15 piatti.
Fino al 30 maggio, quindi, avete la possibilità di provare quel che ore e ore di coda non vi hanno permesso di sorbire con nipponico rumore: la soba, una pasta a base di grano saraceno tipica della zona di Nagoya, non a caso famosa per la longevità dei suoi abitanti.
Che evidentemente hanno scoperto un segreto per cui mangiare carboidrati e pasta fa benissimo e allunga la vita, un concetto che io sostengo da tempo.
Così felice e rassicurata nei principi sono andata a provare Sagami (si legge con l’accento sulla prima a).
Lui è Makoto Isaji, lo chef che ha preparato il menù nella cucina a vista:
Noi abbiamo preso il tempura soba (12€, il brodo in questo caso è caldo, era una sera di pioggia e vento, quindi avevamo bisogno di qualcosa che ci scaldasse il cuore):
E anche gli udon in zuppa di miso(20€), il piatto di pasta più corposo di Nagoya (che viene preparato con il miso rosso di Nagoya):
Terminatele due zuppe, che vanno sorbite rumorosamente (nel menù cui sono illustrazioni chiarissime che vi spiegano come si devono mangiare), eravamo felici e pieni di amore per la cucina nipponica.
Così, colti da improvviso entusiasmo, abbiamo giocato anche la carta dei dolci, scegliendo dorayaki, pancake alla giapponese (3€), e l’oni-manju, una polpetta di zucchero, farina e patate americane (5€). Accettiamo serenamente l’idea che i dolci i giapponesi non li sanno fare, ma li servono in adorabili piattini con le orecchie da gatto.
E comunque non si va a mangiare giapponese per il dolce, quindi poco male.
Al termine della cena, ho chiacchierato con Sari Morimoto, giovane proprietaria di Wellkome, figlia di giapponesi ma nata in Italia.
E ho deciso che qui devo tornare anche dopo che Sagami avrà terminato la sua esperienza e Wellkome sarà tornato solo Wellkome, per almeno tre validi motivi:
Offre una cucina giapponese completamente diversa da quel che abbiamo in mente. Per dire, non hanno sushi e sashimi. Però nel menù trovate onigiri, yakitori, katsudon e altri piatti tipici nipponici
Sari Morimoto e la sua famiglia commerciano in riso (tramite l’azienda Italpo) e vendono in tutto il mondo riso italiano da usare per il sushi
Hanno nel ristorante la macchinetta dispensatrice di zuppa di miso. Dopo averla vista li amerò per sempre. E gli invidierò la macchinetta.
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