In questi giorni se ne parla tantissimo: quali saranno le misure obbligatorie che ristoranti, bar e locali dovranno rispettare per poter riaprire alla clientela?

Il settore della ristorazione, come quello del turismo, è tra i più colpiti dalla pandemia: facciamo fatica a collegare distanziamento sociale e la convivialità tipica dell’andare fuori a mangiare, una componente fondamentale.

Il ristorante nell’era Covid-19

(Testo di Gaia Guarino) Fase 1, fase 2, polemiche, complotti, divieti e concessioni. Quello che attualmente rimane incerto è come cambieranno le nostre abitudini dopo l’emergenza Covid-19, incluso l’andare al ristorante.

Che sia una cena con gli amici seduti a tavola, un aperitivo con la compagna di scrivania o magari anche solo un drink al primo appuntamento…come dovremo comportarci?

Tra plexiglass e realtà

Le soluzioni che si sentono in giro sono fantasiose ma non so quanto realizzabili. E non mi riferisco a una questione meramente tecnica ma a qualcosa di meno visibile e forse più profondo.

Non riesco proprio a immaginare plexiglass divisori che a mio avviso trasformerebbero una pizzata in un momento al parlatorio di Sing Sing. O posti distanziati al punto da non potersi nemmeno passare il vino e fare un brindisi incrociando i bicchieri.

Dalla cucina ai camerieri

Poi, va bene separare i commensali, ma come si fa con i camerieri? Serviranno lanciando i piatti come frisbee e tutti noi ci improvviseremo esperti ricevitori degni di un campo da baseball?

E nelle cucine? Devo mettere a dura prova le mie sinapsi per figurarmi una classica situazione tra chef e sous-chef obbligati a stare distanti almeno un metro.

Ma tralasciando per un attimo gli aspetti logistici di questo surreale scenario ‘a un metro da te’, mi riempiono invece di tristezza opzioni come quella dei tavoli in solitudine in mezzo al nulla accolti da robot. A questo punto, per quanto io non sappia cucinare, meglio mangiare a casa.

Socialità

Sono seria quando dico che io non vado quasi mai al ristorante giusto per mangiare (a parte qualche rara occasione). Come tanti, penso sia più una scusa per essere in compagnia…e poi sì, incidentalmente nutrirsi.

Ma se devo uscire da casa, rendermi presentabile al pubblico e poi nemmeno poter scambiare due battute coi miei vicini di tavolo, che senso ha?

Accadde a New York

Era aprile 2017 e mi trovavo a New York in un ristorante di Little Italy. Ero sola e mangiavo una pizza come faccio sempre, con forchetta e coltello. Accanto a me due ragazze, una delle due festeggiava il compleanno. Mi guardano e mi chiedono – domanda retorica – se fossi americana. Al mio ‘no’ sorridono e dicono che è chiaro: stavo mangiando la pizza in modo diverso, gli americani sono molto meno sofisticati!

Da lì, da una semplice battuta, siamo finite con il condividere i piatti, tornare verso casa insieme e beh che dire…oggi Sara Anne è una mia carissima amica che sento praticamente ogni giorno, che mi ‘costringe’ a essere sua ospite quando vado nella Grande Mela, che sa di me molto più di quanto non sappiano persone che vivono nel mio quartiere. E dove ci siamo incontrate? Ripeto, in un ristorante!

E di storie così ne ho diverse, anche made in Italy. Perché è il bello di andare in giro, è il bello del confronto, del fare battute, di essere fratelli magari il tempo di un pasto, magari per sempre.

Dal picnic al balcone

E allora io dico che rivoglio i pic-nic al parco quando faccio la parte di quella che porta la frittata e si sente dire che è disgustosa, quella che va a mangiare la pizza sotto casa perché con Alfredo due chiacchiere le scambi sempre volentieri. Voglio tornare in quei posti dove quando arrivo mi conoscono già e allora ci si aggiorna su quanto è accaduto dall’ultima volta che sono stata lì, si parla dell’Inter e della Ferrari che Dio solo sa quanti dolori. E ancora voglio scoprire delle novità purché in linea coi miei gusti. Non è che appena finisce la pandemia mi si vedrà al sushi, eh!

Ma se tutto questo almeno per un po’ non sarà possibile, allora ci rinuncio. Perché lo so, mi prenderebbe la malinconia, non mi divertirei e finirei con l’ordinare l’insalata più deprimente sul menu.

Quindi sogno piuttosto inviti da fare e da ricevere, cene in balcone (ora che arriva l’estate mi sembra perfetto), le pizze in 10 nel mio appartamento di Milano divisi tra due sedie, divano e cuscini sul parquet e tutto ciò che mi riporti a vivere l’unico aspetto che per me conta di un locale: lo stare insieme.

Durante questa quarantena il ristorante è stata la cucina di mamma, ma anche i brindisi a distanza via Skype, perfino i cupcake ‘condivisi’ per il mio compleanno. E ogni tanto, siccome mi manca l’aperitivo, non potendo godermi un’allegra sbronza da spritz in spiaggia a Jesolo, mi accontento di un calice di rosso e qualche patatina. Il tutto sul terrazzo in centro città, vista strade e tramonto.

Author

Pensavi a Proust e invece trovi solo i dolcetti a forma di conchiglia. A questo punto puoi scegliere: ti metti a leggere la Recherche oppure un blog che adora il formaggio? Chi sono io? Oriana, giornalista milanese di turismo, food ed eventi

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