A Torino e provincia ci sono mirabili mercati: l’unico di mia conoscenza, e solo perché amo tanto la canzone di Gianmaria Testa, è quello di Porta Palazzo.
Poi ho scoperto che ogni mercoledì a Chivasso, città a 20 chilometri dalla Mole Antonelliana, c’è il secondo mercato per grandezza della provincia di Torino: conta 390 bancarelle, tra le quali 90 produttori agricoli, e si estende per tutto il centro storico cittadino formando un circuito di due chilometri tra vie, viali e piazze.
Uno dei pochi vantaggi di fare la giornalista nella vita è che sei circondata da colleghi che sanno scrivere assai bene: io per esempio ne ho una – Cristina – che, guarda caso, non solo abita a Chivasso ma è pure consigliera comunale.
E in attesa di vederla diventare Presidente della Repubblica, Regina delle galassie, Imperatrice della Via Lattea, le ho chiesto di scrivere qualcosa a proposito del mercato di Chivasso, del quale va narrando descrizioni magnifiche.
Perché questo blog ama i mercati: quelli agricoli di Milano, ma anche ogni altro appuntamento settimanale che porti un po’ di campagna in città.
Dunque cedo a lei la penna tastiera e via, si va tra le bancarelle.
Il Gran mercato di chivasso
Testo e foto di Cristina Peroglio
Bene, mi ha risposto l’imperturbabile Lili che sopporta le mie intemperanze, raccontacelo. E io son rimasta interdetta. E sì, diciamolo, fregata.
Ecco dunque, siore e siori, siam qui a raccontare, per chi vuole ascoltare, il Gran Mercato di Chivasso.
Chivasso, ridente (mah…) cittadina a circa 30 chilometri da Torino, 26mila abitanti o poco più, vale il viaggio per il suo mercato.
Il giorno di mercato è il mercoledì. Da sempre, che si sappia.
Il mercato di Chivasso affonda le sue radici nella storia. La città, conca verso la quale convergono Monferrato, Canavese e anche un pezzetto di Vercellese, da sempre è stata centro di scambi commerciali.
Così, il mercoledì, la città diventa un formicaio di gente che scorre fra le bancarelle.
Non è Chivasso che ospita il mercato: Chivasso È il mercato.
Per capirci: il centro storico è racchiuso fra la via Torino, di circa un chilometro di lunghezza, e i viali, per un altro chilometro. Il tutto intervallato da tre piazze.
Bene, il mercoledì è tutto un mercato. E c’è di tutto.
Cercate un calzino? C’è.
Un cavolo rosso? C’è.
Un chiodo? C’è?
Un quaderno, un libro, un vestito da sposa? C’è.
Fra tende da casa, uova d’oca, scarpe da ballo, gioielli, liquori, sciarpe e ricotta, il chivassese trova al mercato risposta a quasi tutte le sue domande.
Il mood del mercato
Perché il mood è questo: se non trovi qualcosa, neppure cercando nella titanica metropoli (che è Torino, mica New York, ma è pur sempre una vera città) puoi provare al mercato. Due volte su tre, la soluzione la trovi.
Forte di questa certezza, il chivassese, anche se per scelte di vita o motivi di lavoro si trova distante dal suol natio, sente il richiamo del mercoledì mattina. E, appena può, torna.
Torna al chilometro di bancarelle su via Torino fra vestiti scarpe borsette chiodi padelle quaderni e bijoux, ma soprattutto, torna dai suoi produttori.
Perché la particolarità specifica del Gran Mercato di Chivasso è la presenza di bancarelle di frutta e verdura che arrivano direttamente dalle campagne vicine. Così si trova la valeriana di Verolengo (valeriana poi… solo da poco; fino a qualche tempo fa la scritta era solo ‘sarset’), il cavolo di Mezzi Po, gli spinaci di San Benigno, le erbe aromatiche del Canavese e finanche il pomodoro di Chivasso.

A ognuno il suo produttore
Il chivassese ha il SUO produttore. È quello che d’estate ti fa assaggiare le ciliegie, che ti dice con franchezza di non prendere le patate perché ‘mi son venute tutte brutte quest’anno’, che ti consiglia quale cavolo scegliere e quale pesca è migliore per farla ripiena, con cioccolato e amaretti, nel forno.

A fare compere al mercoledì vengono chef stellati e casalinghe, gente da lontano e dalle vicine campagne. Nei tempi andati, ritirate le bancarelle, i ‘mercandin’ entravano nelle locande cittadine per consumare il piatto del giorno di mercato, la busecca, vale a dire la trippa. Non leggera, per carità, ma provate voi a caricare il furgone alle 6 del mattino, montare la bancarella nel freddo semibuio dell’alba e sorridere fino alle 13 al chivassese che vien lì alla ricerca di certezza, di autenticità, di casa. Tutto in una borsa di verdura.
PS: scrivere di casa propria è la cosa più difficile. La conosci bene, ne vedi i pregi e ne conosci tutti i difetti. Ma c’è quel rumore di fondo, quel leggero ronzio, quella nota costante che risuona al centro del petto mentre cerchi di vedere le cose dall’altro. E ti tira giù, verso terra, verso casa tua.
Lo chiamano amore.
Scusate, quindi, se non sono stata oggettiva. Non potevo. E forse, non volevo.